Cloud Computing

Uber, la più grande compagnia di taxi del mondo , non possiede nessun veicolo. Facebook , il proprietario dei media più popolare del mondo , non crea nessun contenuto. Alibaba, il rivenditore il più grande rivenditore, non ha nessun inventario e Airbnb, il più grande fornitore di alloggi al mondo, non possiede alcun bene immobile.


Qualcosa di interessante sta accadendo.

Con questa frase, Tom Goodwin vice presidente di Havas Media esordiva con un interessante articolo qualche settimana fa .

Anche nel mondo dell’IT qualcosa sta cambiando e mi riferisco al cambiamento circa l’erogazione di risorse informatiche, come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione di dati.

Non mi riferisco soltanto alla fruizione di contenuti multimediali (Netflix, Sky etc) o al semplice storage dei dati (Mega,iCloud) ma anche all’utilizzo di veri e propri programmi che un tempo venivano acquistati tramite licenza ed installati sul nostro hardware preferito.
Si pensi ad esempio a Microsoft Office 365 o Lightroom. Si paga un abbonamento, mensile o annuale e si fruisce di un intero servizio senza dover preoccuparsi di dove il servizio è effettivamente installato.

Il Cloud Computing comprende quindi diversi aspetti del Cloud e penso valga la pena di fare una piccola panoramica anche per prendere confidenza con una certa terminologia che penso ci farà compagnia nei prossimi anni:

SaaS (Software as a Service) – Servizi come posta elettronica, videoconferenza etc.
DaaS (Data as a Service) – Dati a disposizione in rete come se fossero sul nostro dispositivo
HaaS (Hardware as a Service) – Risorse hardware virtualizzate disponibili come servizio
IaaS (Infrastructure as a Service) – Risorse hardware (virtualizzate) e software (servers, storage, networks, operating systems) come servizio
PaaS (Platform as a Service) – Un intera piattaforma di sviluppo a disposizione del produttore. Da questa piattaforma è possibile rilasciare, testare e fruire il software senza possedere nessuna macchina fisica.

Le ultime due possono sembrare piuttosto simili, ma in un modello di tipo PaaS, chi sviluppa software non dovrà più preoccuparsi delle problematiche relative di servizi di terze parti (DB, network, gestione delle code, application server etc).

Quest’ultimo tipo di piattaforma infatti offre a mio avviso diversi ed interessanti scenari nel mondo dell’IT.
Da un lato chi sviluppa può concentrarsi unicamente sulla fruibilità del servizio sviluppato astraendosi da quelli che sono i problemi di scalabilità, compatibilità di versioni tra i vari servizi etc.

Dall’altra parte le aziende che sviluppano in questa modalità possono risparmiare notevolmente dal punto di vista sistemistico per la gestione del servizio stesso.
In pratica potranno fornire un servizio perfettamente scalabile senza possedere nessun hardware e nessuna licenza (se non quella per il PaaS stesso, ovviamente).

Se però da un lato le aziende otterrebbero un bel risparmio, dall’altre parte alcune di essere sarebbero un po restie a pubblicare su un server “remoto” i propri dati che rappresentano probabilmente il punto di forza del proprio business.

Esistono però diverse modalità di approccio al cloud, da quello pubblico che consente il massimo risparmio in termini di gestione a quello privato, passando a quello di tipo ibrido che consente di scegliere quali tipo di servizio o dato può essere pubblico o gestito in autonomia.

Se consideriamo poi quali sono le aziende che puntano maggiormente su questa tecnologia: Red Hat (OpenShift), Microsoft (Azure), Amazon (AWS), VMWare (Cloudfoundry), Google (Cloud Platform) direi dobbiamo proprio prepararci al cambiamento.